L’omelia tenuta dal parroco il 7 marzo in occasione della ricorrenza dell’eccidio del 9 marzo 1945

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don lodovico debernardi (foto di mauro vacca)

Carissimi fratelli e sorelle, La celebrazione quaresimale odierna è arricchita della memoria purtroppo triste della sofferenza umana: l’eccidio dei ventuno a Salussola. La riflessione che vi propongo è costituita da tre parti. Nella prima parte dell’omelia tratteggerò qualche spunto di meditazione dal vangelo che abbiamo ascoltato. Seguirà la coniugazione pratica del nostro impegno ad aiutare i poveri. Nell’ ultima parte cercherò di condividere qualche tratto della politica, intesa come visione della storia specialmente nel medioevo. In questo modo rifuggiamo ai gravi fatti che oggi squalificano il servizio nell’amministrazione pubblica. Il brano che la chiesa ci offre in questa terza domenica di quaresima è in piena continuità con quelli delle scorse due domeniche. La prima domenica abbiamo riflettuto sul nostro accompagnare Gesù nel deserto, luogo dell’incontro con il maestro. Nella seconda domenica Gesù di nuovo si ritira con i suoi discepoli sul monte e così scopriamo lo scopo del nostro rientrare nel cuore: la preghiera. In questa terza domenica capiamo il significato, uno fra i tanti, della preghiera che fa Gesù. La preghiera ha la caratteristica dell’intercessione: di fronte alle nostre infedeltà, di fronte alle squallide giustificazioni che apportiamo per non impegnarci a seguire il vangelo, di fronte alla pigrizia di chi non osserva i comandamenti , di fronte a chi in nome del servizio e del buon funzionamento degli enti si lascia abbandonare alla collera, di fronte a chi proclama valori come la famiglia e poi se ne forma più d’una zoppicante …  ecco apparire la figura di Gesù. Il maestro in Israele ci insegna come affrontare le negligenze morali proprie ed altrui: anziché assumere un atteggiamento da crociata moralistica, al contrario si rivolge al Padre chiedendogli pietà per noi. Nel brano di vangelo possiamo intravvedere in filigrana la persona di Gesù nel contadino che si prende cura di quel fico,  che è l’umanità nei suoi peccati che nonostante le cure e le attenzioni ancora non porta frutto. Gesù nella quaresima non desidera i nostri fioretti, quasi che più ne facciamo e più ci viene garantito un posto in Paradiso … come una tessera a punti del supermercato. Gesù più semplicemente chiede al Padre di avere misericordia, intercede a nostro favore perché ancora quest’anno possiamo essere curati e magari portare frutto. Ecco, cari fratelli sorelle, che Gesù assume i tratti del maestro paziente che si prende cura di noi, che ci difende ma allo stesso tempo spera di vedere dei frutti. La supplica di questa settimana è quella di chiedere a Gesù di farci percepire con quanta intercessione si offre al Padre affinchè possiamo aver tempo per cambiare modo di vivere le relazioni e gli impegni,  come dice la parola stessa: conversione, cambiare verso, avere il coraggio di cambiare direzione. Ora la seconda parte: la breve presentazione delle opere di carità che come parrocchia vogliamo sostenere nelle collette quaresimali. La scorsa settimana abbiamo parlato delle missioni diocesane in Brasile e Perù. Oggi all’uscita della chiesa vi verrà consegnato un piccolo pro memoria del secondo ambito: i nostri amici in Tanzania – Arusha – sacerdoti diocesani che aiutano le popolazioni locali. Volti a noi cari quelli di Don Paolo, don Isidoro e don Prospero. Essi vivono ben al di sotto delle possibilità vitali : basti ad esempio una proporzione. Tradotto da schelling in euro:  per le esigenze fondamentali della vita quotidiana essi dovrebbero percepire circa 250 € al mese, mentre ne hanno soltanto 70 per vivere! Aiutiamo questi sacerdoti certi che i soldi raccolti giungeranno a  destinazione perché inviati a loro direttamente. L’ultima parte dell’omelia vorrebbe essere una semplice rivisitazione storica di alcuni concetti fondamentali del medioevo. Siamo in un tempo lontano ma non per questo migliore o peggiore. Chi cerca la perfezione nel  non sbagliare mai, non solo è un cristiano illuso, ma non è neanche un buon cristiano perché crede di salvarsi con le proprie forze. Ritornare al medioevo significa rivisitare la nostra infanzia. Infatti del nostro vecchio continente esso ha forgiato i paesaggi, gran parte dei nomi di luoghi e di persona. All’orizzonte della nostra memoria richiama i ritmi antichi delle opere e dei giorni , dei riti religiosi o sociali che un tempo davano senso alla vita. Il medioevo sembra quasi una matrice: i moderni tendono a denigrarlo come un adolescente verso i genitori.  La vita medievale offre un terreno inesauribile che i vettori dell’ultra-modernità non possono ignorare. Nel medioevo si possedevano due aspetti della sapienza. Innanzitutto si aveva un acuto senso del tempo e del valore delle cose. Era in grado di proiettarsi nel futuro diverse generazioni avanti per valutare il profitto che le sue azioni avrebbero prodotto non limitandosi a vivere in funzione dei risultati a breve termine. Pensate alle grandi cattedrali costruite in qualche secolo e paragonatele alle nostre più grandi costruzioni: a parte la loro stabilità e i nostri mezzi,  il valore non sta nel tempo che si può guadagnare oggi grazie ai nostri mezzi ma che ciò porta ad un accorciamento, non immediatamente buono, anche dell’orizzonte di progettualità nella visione dell’uomo e di questo nel mondo. Così nel medioevo assistiamo al lancio di progetti che interessano più generazioni e per fare ciò si deve avere una visione più profonda della vita e a più lungo termine: questa capacità si chiama sapienza! Il secondo aspetto, oltre la visione e il concetto di spazio-tempo,  è inerente al concetto di  sapere e della sua ricerca: i maggiori pensatori medievali erano tutti determinati  ad unire le proprie conoscenze intellettuali e la propria ragione alla loro profonda visione spirituale. Il coraggio necessario per condurre differenti modalità di conoscenza e di esperienza di dialogo è un’altra forma di sapienza – di cui abbiamo bisogno. Nella positività che cogliamo nel post moderno e nella fluidificazione dei confini e il crollo dei grandi sistemi di pensiero che si coniugano nei rapporti di potere, potremmo raccogliere dal medioevo lo stimolo ad una ricerca umana e ultramondana per arricchire i nostri programmi di vita personali e sociali, programmi che oltre a migliorare gli stili di vita diano dei valori per cui vivere. Ai numerosi politici oggi presenti in vesti di varie responsabilità viene chiesto chiaramente e inequivocabilmente di dare un messaggio forte per i giovani che nonostante tutto vi continuano a guardare come possibili esempi nel loro progetto di vita: nessuno può permettersi di contribuire alla decadenza morale per avviarsi addirittura all’assuefazione del decadimento stesso. Al politico che veicola l’immagine dello Stato e che lo rappresenta in ogni ambito e momento della vita, chiediamo il profilo morale più alto possibile perché dallo spessore della personalità e dal carattere e comportamenti ineccepibile si gettano le basi per la migliore stabilità del paese. Papa Paolo VI già molti anni fa ripeteva che le nostre giovani generazioni hanno bisogno di testimoni più che di maestri ma l’analisi del cardinal Angelini, saggio e raffinato politico romano in un’intervista all’Osservatore Romano del 5 marzo u.s. chiede: “mi dica lei dove sono questi laici che nella vita pubblica si comportano da cattolici ? Quanti ce ne sono nelle istituzioni internazionali? Quanti nel Parlamento Italiano? Dove sono oggi? Perché non si ribellano davanti all’immoralità, all’inganno, alla spasmodica ricerca del dio denaro che sembra essere l’unico orientamento della politica? Forse che uno tsunami della coscienze ha trascinato via tutto? Queste sono le domande che – come dice il cardinale stesso – agitano oggi la sua coscienza! E la nostra?    Concludendo chiedo a Dio che la ricchezza del medioevo, di una conoscenza empirica divenuta sapienza perché contempla la spiritualità possa illuminare le menti di chi è chiamato a garantire il progresso, la pace, la sicurezza sociale e la programmazione politica, perché di fronte all’ Europa non siamo di quelli che la rendono “ il vecchio continente ” stanco e abbandonato alle onde del qualunquismo, ma siamo piuttosto tra quelli che la ringiovaniscono  attraverso credibili progetti a lungo termine; un paese, una regione che sanno fare dell’eccidio di Salussola il punto di partenza.    [don lodovico debernardi/parroco/salussola]

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