Attenzione a non cadere in una nuova trappola molto insidiosa: lavorare più anni non è sempre conveniente. Anzi: in alcuni casi si rischia di ricevere un assegno più basso del previsto.
La tendenza del momento in fatto di pensioni ormai è chiara: non si possono agevolare troppe uscite anticipate dai luoghi di lavoro altrimenti l’Inps andrebbe in crisi. Di conseguenza è meglio mettere disincentivi alle pensioni anticipate e incentivi affinché i lavoratori restino in ufficio qualche anno in più.

Le misure di pensione anticipata in Italia di sicuro non mancano: il Governo di Giorgia Meloni, tra l’altro, con la nuova manovra di Bilancio le ha riconfermate tutte. Pertanto, anche se, ufficialmente, per accedere alla pensione di vecchiaia è necessario avere 67 anni e almeno 20 anni di contributi, alla fine ci sono mille modi per andare in pensione con qualche anno di anticipo.
Per evitare che troppi lavoratori scelgano questa strada l’Esecutivo ha introdotto un bonus: una sorta di “premio” per chi, pur avendo tutti i requisiti per lasciare l’ufficio e ricevere l’assegno Inps, deciderà di restare incollato alla scrivania qualche anno in più. Ma siamo sicuri che sia conveniente? Molti pensano che, lavorando di più, avranno poi un assegno previdenziale molto più alto. Purtroppo, talvolta, non è proprio così.
Pensione, bonus per chi resta a lavoro: ma non sempre conviene
Da quest’anno il Governo Meloni ha deciso d’introdurre una novità importantissima per milioni di lavoratori: il bonus Maroni sarà esteso anche a chi deciderà di non sfruttare la pensione anticipata ordinaria. Ma conviene davvero restare ancora anni e anni in ufficio? Vediamo come stanno le cose.

Il bonus Maroni non è una nuova agevolazione, esiste già da tempo. La novità è che, fino al 2024 veniva erogato solo a chi, pur avendo perfezionato i requisiti, rinunciava ad accedere alla pensione con Quota 103 mentre da quest’anno verrà erogato anche a chi rinuncerà alla pensione anticipata ordinaria. La pensione anticipata ordinaria è una misura che consente di uscire dal lavoro a qualunque età purché i contributi corrispondano almeno a 42 anni e 10 mesi per gli uomini oppure a 41 anni e 10 mesi per le donne.
Pertanto una donna che ha iniziato a lavorare in modo regolare e continuativo a 18 anni, con questa misura potrebbe andare in pensione prima dei 60: ben 7 anni in anticipo rispetto all’attuale età pensionabile quindi. Per disincentivare troppe uscite anticipate, l’Esecutivo ha deciso che dal 2025 chi rinuncerà alla pensione anticipata ordinaria ma resterà a lavorare potrà fruire del bonus Maroni.
In cosa consiste tale bonus? E’ una decontribuzione: in pratica un lavoratore dipendente paga all’Inps ogni mese il 9,19% di contributi. Chi fruisce del bonus Maroni, invece, riceve quel 9,19% in busta paga e, dunque, ogni mese avrà uno stipendio un po’ più ricco. Fin qui tutto bene. Ma dove sta allora l’inganno?
Il problema è che questo 9,19% di contributi che il lavoratore non versa più all’Inps, non vengono versati da nessuno e, dunque, pur lavorando più anni, alla fine avrà meno contributi del previsto e il suo assegno previdenziale sarà, di conseguenza, più basso di quel che ci si sarebbe aspettati. A questo punto allora si torna al quesito: vale la pena lavorare di più per poi avere una pensione più bassa?