Sono cambiate le regole sulla Naspi e non ci sono buone notizie per chi ha perso il lavoro. Quando non è possibile riceverla.
Dal 1 gennaio 2025 sono cambiate le regole di ingaggio per quanto riguarda l’indennità di disoccupazione (Naspi). Purtroppo non tutti lo sanno e potrebbero ricevere cattive notizie. Scopriamo come funziona oggi.

Il succo del problema è il seguente: dal 1° gennaio 2025 non è più possibile ottenere la Naspi in caso di dimissioni da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato se il lavoratore è stato riassunto per un periodo inferiore a tre mesi. Unica eccezione è che tra i due rapporti di lavoro non siano trascorsi almeno 12 mesi. Lo scrive l’Inps nella Circolare n. 98/2025 in cui spiega le novità della legge di bilancio 2025, volute con l’intento di frenare gli abusi.
Per avere diritto alla Naspi, occorre avere almeno 13 settimane di contributi contro la disoccupazione nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di licenziamento e conseguente disoccupazione. Chi si dimette o risolve con il consenso delle parti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato può fare richiesta dell’indennità solo se ha maturato 13 settimane di contribuzione dalle dimissioni o dalla risoluzione consensuale. Altrimenti dovrà attendere un anno di decorso.
Naspi, novità 2025: chi rischia di perdere l’indennità di disoccupazione
Le novità salienti derivanti dalla Legge di bilancio 2025, come avrete capito, riguardano i casi di disoccupazione intervenuti dal 1° gennaio di quest’anno in poi.

L’Esecutivo intende colpire il fenomeno di dimissioni e rioccupazioni per un breve periodo al solo scopo di far maturare il diritto alla disoccupazione, un abuso secondo il Governo. La novità non riguarda le dimissioni per giusta causa o nel periodo di maternità o paternità o risoluzione consensuale nell’ambito della procedura di licenziamento di cui all’articolo 7 della legge n. 604/1966.
La restrizione voluta dalla nuova Legge di bilancio non riguarda le lavoratrici che si dimettono entro il primo anno di vita del bimbo anche se ha risolto consensualmente nei 12 mesi precedenti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e in assenza di 13 settimane di contribuzione dall’ultimo rapporto. Lo stesso succede se un lavoratore si dimette per il mancato pagamento della retribuzione che di fatto è una giusta causa di dimissioni.
Tra le ipotesi di dimissioni per giusta causa rientra anche quella relativa «alle dimissioni a seguito del trasferimento del lavoratore ad altra sede della stessa azienda, a condizione che il trasferimento non sia sorretto da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive e ciò indipendentemente dalla distanza tra la residenza del lavoratore e la nuova sede di lavoro».