20 milioni polverizzati in tempo record, ma le liste d’attesa per le visite specialistiche rimangono piene: cosa è successo davvero?
Era stata salutata come la svolta piemontese, eppure anche dai bei sogni, prima o poi, bisogna svegliarsi. È quello che è accaduto in questi giorni, quando – tra le tante voci entusiaste – ne è arrivata una più severa, quasi da guastafeste: i fondi sono finiti. Venti milioni bruciati in poco più di due mesi. E lì ci si sveglia davvero, accorgendosi che forse qualcosa non ha funzionato come previsto.

Ma partiamo dall’inizio. ‘Visite di sera e weekend’ è il progetto lanciato dalla Regione Piemonte il 22 febbraio 2025 per ridurre le interminabili attese di visite ed esami specialistici. Presentato in grande stile dal presidente Alberto Cirio e dall’assessore alla Sanità Federico Riboldi, puntava a garantire 50.000 prestazioni aggiuntive entro l’estate, grazie a un’estensione straordinaria degli orari ambulatoriali: anche la sera, anche nel weekend.
L’inizio è stato col botto, quasi da manuale. Si pensava davvero che il nodo delle liste d’attesa potesse finalmente allentarsi. E per un attimo, tutto sembrava scorrere liscio come l’olio. Poi però quei 20 milioni sono spariti nella metà del tempo stabilito.
Sanità in Piemonte: quando i conti tornano, ma i calcoli no
E così il ‘modello Piemonte’, osannato come la svolta per ridurre le attese infinite in sanità, si è sgonfiato prima ancora di ingranare. La misura – che avrebbe dovuto garantire un cambio di passo con ambulatori aperti anche di sera e nel weekend – si è bruciata 20 milioni in appena due mesi. Un fuoco di paglia, insomma.

Da Novara ad Asti, le comunicazioni interne agli ospedali parlano chiaro: fondi finiti, medici e infermieri tornano alle tariffe base. Tradotto: da 60€ l’ora promessi a 35€ (quando va bene). Il progetto, partito il 10 marzo con una delibera regionale e sostenuto dall’accordo coi sindacati, doveva durare almeno sei mesi. Non è arrivato a tre.
E intanto le liste d’attesa sono lì, sempre più lunghe. Il consigliere regionale Domenico Rossi non ci gira intorno: “Il portafoglio è vuoto mentre i tempi per una prestazione restano lunghissimi”. E cita dati da pelle d’oca: oltre un anno per una colonscopia, dieci mesi per una mammografia.
Secondo Rossi, il problema non è solo economico, ma strutturale: “Si continua a pagare i gettonisti a peso d’oro, mentre il personale stabile resta sottopagato e logorato”. Il rischio? Che anche la seconda fase – quella annunciata per luglio su aree mirate come dermatologia e colonscopia – si risolva in un altro boomerang.